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Internazionalizzazione: le modalità d’ingresso in un Paese estero

Le ragioni che portano le nostre imprese a puntare ad espandersi sui mercati esteri sono svariate: alcuni imprenditori guardano al di là dei confini nazionali per necessità che possono derivare, ad esempio, da una stagnazione delle richieste provenienti dal mercato interno o dalla presenza di vantaggi competitivi, mentre altri si pongono l’obiettivo di rendere la propria impresa internazionale sebbene gli affari vadano a gonfie vele.
In ogni caso le imprese che decidono di espandersi sui mercati esteri devono però aver ben chiaro che si tratta di sfide stimolanti ma complesse il cui successo è tutt’altro che garantito.


In effetti per ottenere risultati positivi all’estero è necessario affrontare una mutazione quasi genetica dei propri processi aziendali che coinvolge praticamente tutti i principali ambiti (finanziari, organizzativi, legali e strategici) di rilevanti per chi fa business.

Il processo di internazionalizzazione non si può dunque improvvisare e, per essere capaci di competere sui mercati internazionali, le imprese devono essere innanzitutto solide per dimensioni, capitale umano e finanze, ma devono avere ben chiaro in mente l’obiettivo che vogliono raggiungere e gli strumenti per realizzarlo.
Detto ciò è importante evidenziare che, per penetrare efficacemente un mercato straniero, esistono una serie di strategie differenti che spaziano dalla tradizionale attività di vendita a fornitori localizzati in Paesi stranieri fino all’apertura di stabilimenti produttivi o commerciali esteri.
Quando si parla di strategie d’ingresso è bene operare sin da subito una distinzione fra strategie dirette e strategie indirette.
Le prime si dividono in due grandi categorie - investimenti commerciali e produttivi - mentre le seconde si diramano in tre categorie vale a dire accordi commerciali, accordi produttivi ed accordi di trasferimento di tecnologie e di know-how.
Ognuna racchiude punti di forza e rischi intrinsechi che proveremo brevemente ad analizzare di seguito. A livello generale le strategie dirette hanno il vantaggio di non richiedere investimenti, di comportare un modesto livello di rischio, di essere caratterizzate da elevata flessibilità e di costituire uno sfogo alla produzione che il mercato interno è incapace di assorbire.
D’altro canto però, adottando questo tipo di strategie, è difficile stabilire relazioni durature e stabili con i clienti esteri e si fatica anche a cogliere ulteriori opportunità offerte dal mercato.
Per quel che riguarda invece la strategie indirette in linea generale si può dire che esse implicano un maggior controllo del prodotto, della distribuzione e dei servizi post-vendita oltre che la possibilità di ottenere maggiori ricavi sulle vendite. Fra i lati negativi spicca invece il sostanzioso investimento iniziale richiesto che innalza in misura significativa il livello del rischio imprenditoriale.
Prima di compiere una scelta è dunque bene prendere in esame una serie di importanti variabili che riguardano i costi/benefici attesi nel breve e lungo periodo, il livello di controllo che si intende esercitare sulle attività commerciali svolte all’estero, il grado di reversibilità delle scelte effettuate e, naturalmente, le opportunità ed i rischi peculiari che caratterizzano il Paese target prescelto.
In buona sostanza si può dire che a ciascuna strategia d’ingresso su un mercato estero corrisponda un diverso grado di impegno dal punto di vista finanziario (e non solo) ma volendo sintetizzare si può affermare che:
- Gli accordi commerciali – che comprendono vendite all’estero attraverso agenti, distributori, concessionari e franchising – possono essere consigliabili per esportare in Paesi considerati di non primaria importanza o ritenuti eccessivamente rischiosi perché implicano livelli di coinvolgimento/investimento relativamente modesti;
- Gli accordi produttivi – che comprendono accordi di subfornitura ed il traffico di perfezionamento passivo (TPP) – danno l’opportunità a chi li utilizza di delocalizzare solamente delle specifiche parti del processo produttivo e possono essere utilizzati quando il coinvolgimento diretto dell’impresa non è considerato una conditio sine que non;
- Gli accordi di trasferimento di tecnologia e know-how – che comprendono licensing, contract manifacturing ed assembley – valorizzano le competenze possedute dalle aziende, dando loro l’opportunità di monetizzare collaborando con soggetti che si trovano mercati caratterizzati da significative barriere d’ingresso e per questo difficili da penetrare attraverso forme di ingresso commerciale più ‘tradizionali’;
- Gli investimenti diretti esteri (M&A, joint venture) rappresentano infine la modalità più interessante da adottare per le imprese che hanno intenzione di mettere in campo un processo di espansione commerciale strutturato e duraturo in un determinato Paese.
Da quanto detto dunque si può ricavare un principio di base: non esiste, in assoluto, una strategia d’ingresso più efficace per avere successo sui mercati esteri ma ciascuna impresa avrà l’opportunità di scegliere la migliore per se stessa solo se considererà adeguatamente tutte le proprie caratteristiche specifiche tracciando un’accorta analisi costi/benefici sulla base della quale prendere una decisione d’investimento definitiva.


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