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L’internazionalizzazione e le sue diverse forme.

Le imprese italiane che occasionalmente o in modo strutturato hanno relazioni e rapporti commerciali con l’estero sono poco più di 215.000 unità e lo scorso anno sono riuscite a totalizzare un valore di 450 mld di euro di beni e servizi esportati nel mondo. Una crescita significativa compresa tra il 6% e il 7% rispetto ai 417 mld registrati nel 2016
Questi dati non possono che incoraggiare tutti gli addetti ai lavori a fare di più nel tentativo soprattutto di ridurre il gap nei confronti di due principali competitors a livello europeo come Germania e Francia. In realtà il fenomeno legato all’internazionalizzazione è molto più ampio e complesso e coinvolge un numero di soggetti economici di gran lunga superiore alle sole imprese esportatrici. E’ doveroso pertanto chiarire che internazionalizzazione ed export non sono sinonimi di un medesimo tema e non hanno eguale definizione. L’export (o internazionalizzazione commerciale) è solo una delle diverse forme con cui un’impresa può operare nei mercati internazionali. Molte hanno infatti una presenza estera diretta magari legata all’attività di distribuzione dei propri prodotti o addirittura in attività di produzione (cosiddetta internazionalizzazione produttiva). Non vanno tralasciate inoltre quelle che all’internazionalizzazione guardano per l’approvvigionamento delle materie prime o dei beni intermedi da impiegare nel processo produttivo domestico (internazionalizzazione degli approvvigionamenti) e quelle il cui interesse è maggiormente orientato agli accordi per la ricerca e lo sviluppo (internazionalizzazione della R&S) o per la raccolta di liquidità (internazionalizzazione finanziaria).



Analizzeremo pertanto le diverse forme con cui un’impresa può comunque definirsi internazionalizzata anche se di piccola dimensione e se non strettamente legata a logiche di puro export.

Internazionalizzazione produttiva 

Le motivazioni che spingono un’impresa ad aprire una unità produttiva all’estero sono nella stragrande maggioranza dei casi rappresentate dalla necessità di produrre a costi più bassi e/o per essere logisticamente più vicina al mercato di sbocco. La presenza dal punto di vista strategico ed operativo può avvenire mediante la costituzione di una new company locale, attraverso l’acquisizione di un’unità produttiva locale già esistente o attraverso una joint-venture con un operatore locale.
Più un processo produttivo è standardizzabile e facile da replicare più un’impresa avrà interesse a delocalizzare la produzione in Paesi che consentono di risparmiare sui costi di produzione. In relazione proprio a quest’ultimi, vanno considerati non solo quelli strettamente connessi al ciclo produttivo (materie prime, lavoro, energia, etc) ma anche quelli di natura tributaria e finanziari che in taluni Paesi risultano particolarmente attraenti poiché caratterizzati da aliquote particolarmente basse.
Una strategia di questa natura ha notevoli vantaggi poiché rende l’impresa maggiormente competitiva soprattutto se comparata al contesto globale ed ai competitors diretti, ma aumenta notevolmente anche le difficoltà gestionali poiché si gestiscono asset spesso lontani, barriere non tariffarie e sistemi giuridici o giuslavoristici spesso diversi rispetto a quelli del proprio Paese di origine.

Internazionalizzazione degli approvvigionamenti

Motivi simili a quelli analizzati nella internazionalizzazione produttiva spingono molte imprese a guardare ai mercati esteri per approvvigionarsi di componenti e servizi da impiegare nel proprio ciclo produttivo, che rimane comunque ancorato al mercato domestico. L’ottimizzazione e la riduzione dei costi in fase di acquisizione di materie prime, semilavorati rappresentano senza dubbio il motivo principale con cui le imprese ricercano fornitori oltre i confini nazionali. La globalizzazione della catena del valore ha di fatto aperto la possibilità di relazionarsi con più operatori internazionali in grado di fornire componenti con rapporti di qualità-prezzo tali da mantenere inalterate le caratteristiche del prodotto finale rendendolo di fatto identico “all’originale”. C’è da sottolineare che i vantaggi di un modello basato sulla eterogeneità delle forniture debbono essere pesati e confrontati con i maggiori costi di trasporto e logistica, con i rischi politici, legali e di cambio valuta che questo genere di rapporti possono originare e che addirittura possono compromettere e modificare la convenienza di una siffatta scelta strategica.

Internazionalizzazione della ricerca e sviluppo

Un’altra forma di internazionalizzazione particolarmente vantaggiosa per le imprese è quella di potersi legare e connettere con centri di ricerca, Università, laboratori ed incubatori concentrati in mercati stranieri. I vantaggi sono innumerevoli e non legati come per i casi precedentemente analizzati a logiche di risparmio e riduzione dei costi che anzi potrebbero anche essere maggiori. L’utilità è rappresentata principalmente dal fatto che l’impresa ha modo di accedere al meglio delle competenze scientifiche disponibili sul mercato ed a un know-how che difficilmente troverebbe su quello domestico. L’innovazione di processo e/o di prodotto è fondamentale per poter competere con successo nei mercati internazionali, privarsene o non curare la programmazione e la pianificazione di tali attività potrebbe compromettere le performance dell’impresa. Le compagnie europee hanno inoltre la possibilità di sfruttare la programmazione comunitaria che finanzia mediante contributo ad hoc programmi di ricerca e partenariato tra soggetti operanti nei diversi Stati aderenti all’Unione Europea. Ottenere questi contributi e beneficiare così di specifici incentivi in grado di proiettare l’impresa in un contesto internazionale all’interno comunque di un mercato unico è sicuramente un motivo per cui vale la pena concentrarsi con tempo e risorse specifiche.

Internazionalizzazione finanziaria

Un’altra forma di internazionalizzazione è quella legata alla ricerca di capitali sui mercati esteri che può avere diverse ragioni, in primis quello di ridurre gli oneri finanziari passivi o di sfruttare fondi e/o tipologie di finanziamenti non disponibili nel proprio Paese di origine. Le imprese possono ricorrere pertanto all’apertura del proprio capitale verso soggetti esteri (fondi di venture capital, private equity, fondi sovrani, business angels, etc.) o ricorrere alla quotazione in Borsa su piazze straniere come nel caso dell’IPO di Prada su Hong Kong. Vi sono inoltre piattaforme di crowdfounding che oggi permettono ad un’impresa italiana di poter raccogliere finanziamenti per progetti specifici da avviare anche sui mercati internazionali come Kickstarter, Lendix, etc.. Per quanto riguarda il capitale di credito, oltre a quello bancario le imprese hanno inoltre la possibilità di ricorrere a prestiti obbligazionari.

Nessuna impresa di qualsiasi dimensione o attività può essere esclusa a priori da un processo di internazionalizzazione, che può avere diverse forme come analizzato nei punti precedenti e non ridursi ad un’attività meramente commerciale. Ciò che differenzia davvero un’impresa da un’altra sui mercati esteri è il diverso grado di coinvolgimento della struttura organizzativa aziendale, le disponibilità finanziarie e le capacità manageriali di combinare i fattori critici di successo al fine di raggiungere risultati profittevoli e duraturi nel tempo. Da non tralasciare inoltre è il fattore culturale, cruciale in molti casi per comprendere, intercettare e creare valore nei mercati oltre confine.
Oggi le imprese italiane hanno la possibilità di sfruttare i benefici che la globalizzazione ha reso possibile in termini di migliore comunicazione, circolazione delle informazioni, riduzione delle barriere, velocità e capillarità della logistica con riduzione dei costi di trasporto. Spetta a loro rischiare nei limiti del buon senso e della corretta gestione aziendale e spetta al sistema pubblico/privato di aiutarle in questo processo di crescita culturale ed economica.


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